Diciamolo subito, a scanso di equivoci. I ragazzi di cui parleremo oggi sono veramente “bravi”, ma il titolo eufemistico del pluripremiato film di Martin Scorsese sembrava calzare a pennello per i nostri Goodfellas, ovvero la nuova generazione biancorossa composta da Thomas Strelow, Yuri Solcà, Andrea Mäusli e Francesco Veri, che quest’anno sta vivendo il più entusiasmante degli apprendistati.
Due ’99 e due 2000, una media età che non arriva nemmeno a 19 anni. La linea verde della SAM è giovanissima ma ha tutta la "Garra" che serve per muovere i primi passi e crescere tra i più grandi.
Se da un lato Yuri Solcà ha dovuto rinunciare praticamente a tre quarti della stagione a causa di un fastidioso infortunio all’anca che ora sembra finalmente essersi risolto, Strelow, Mäusli e Veri hanno potuto vivere di persona una delle più entusiasmanti stagioni di sempre.
Il ruolo di giovani promettenti non è facile da interpretare e spesso succede di ritrovarsi in quel limbo che separa il giovane di talento dal giocatore fatto e finito di Serie A. Una zona scomoda, che riserva più sacrifici che soddisfazioni. Si fanno cose strabilianti nelle giovanili, ma quando si sale in Prima Squadra tocca fare la gavetta per guadagnarsi il posto e allora l’unica soluzione è il duro lavoro che porta a migliorare la propria pallacanestro e a ritagliarsi a suon di prestazioni, in allenamento prima e in partita poi, un ruolo da protagonista tra i grandi. Un processo che non dura certo una settimana, nemmeno un mese, a volte persino anni e non è detto che abbia per tutti un lieto fine.
Per fare questo non basta solo essere talentuosi, ma serve soprattutto avere una mentalità vincente, la voglia di mettersi in gioco, là, dove non si è più i migliori ma i più deboli, sia fisicamente che tecnicamente. Bisogna essere disposti a mangiare la polvere poiché solo quando si evidenziano i propri limiti si capisce quanto ancora bisogna migliorarsi. Serve saper passare dall’avere una figura di primo piano nelle giovanili a una di fondo panchina tra i migliori, perché nulla è dovuto e tutto è da guadagnare.
Bisogna fare sacrifici che a volte significano andare in trasferta con la squadra senza scendere in campo o rimanere seduti per 39 minuti e poi, quando arriva la chiamata del coach, scattare in piedi dalla panchina e correre verso la sedia del cambio pronti a dare l’anima sul parquet. Possono essere minuti, a volte solo una manciata di secondi. Nessun reclamo, ma un obbiettivo fisso in testa. Guadagnarsi quel posto e quei minuti, giorno dopo giorno, nel lavoro in palestra e fuori.
Questa mentalità è la mentalità che caratterizza i nostri ragazzi. Quattro lavoratori che a testa bassa si sono fatti una stagione in Prima Squadra come spugne. Un po perché semplicemente l’intensità di una massima categoria è tutta un’altra cosa, e si suda parecchio, e un po perché come spugne hanno cercato di carpire ogni lezione possibile dai più navigati, “rubando il mestiere”, come si dice in gergo lavorativo. Nessun reclamo, nessuna parola fuori luogo. Sempre sul pezzo e costantemente motivati a migliorare. Pronti a dare il massimo quando chiamati in causa.
È anche grazie a loro se questa stagione la SAM è riuscita ad ottenere i risultati che ha ottenuto ed arrivare e staccare il biglietto per i Playoffs con largo anticipo. Tutto merito di un collettivo e non dei singoli, perché solo insieme si può sognare in grande. Solo insieme si può andare avanti e cercare di spingersi al di la delle Colone d'Ercole, che per la SAM rappresentano i quarti di finale.
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